Questo articolo è stato scritto, e suddiviso in tre parti (per essere più fruibile sui social), dopo aver letto la notizia sul sito “Agrifood Today” in cui si incensavano le lodi per l’iniziativa intrapresa da una serie di allevatori che ha istituito “Il Sindacato degli animali lavoratori”.
Ci è arrivata notizia della creazione del primo sindacato “per animali lavoratori”. L’idea dietro la proposta, che appare assurda sin dal nome, sarebbe quella di tutelare maggiormente gli animali presenti negli allevamenti tramite il miglioraramento delle condizioni delle stalle (aumentare e mantenere più puliti gli spazi) e della loro salute. Questo progetto è indirizzato, per il momento, ai caseifici, e vorrebbe offrire “maggiori garanzie per la maternità”, “esami del sangue” e “controllo pediatrico dei vitelli”.
Alla luce di questa iniziativa, che a prima lettura potrebbe sembrare portare avanti interessi nobili e benevoli, è opportuno chiedersi che cosa significhi “benessere” in un contesto come quello degli allevamenti.
Quando la propria vita viene completamente reificata, manipolata e diventa oggetto di sfruttamento si può parlare di benessere?
Cos’è il benessere quando si è pres* in considerazione non in quanto individu* ma macchine produttrici?
Come si può anche solamente pretendere di preservare la salute mentale e fisica di qualcun* quando l’unica cosa che si ha in mente è quello che il suo corpo può permetterci di guadagnare?
E infine: è vero che la violenza finisce quando è un robot a gestire le stanze in cui si trovano le mucche e non un umano?
Dietro a proposte di questo tipo si nasconde un tentativo di mistificare realtà di sfruttamento e di violenza. Gli animali, che in migliori condizioni di salute produrranno prodotti di maggiore qualità e creeranno clienti più felici, vengono totalmente de-storicizzati per fini commerciali. La loro appartenenza all’allevamento non è mai messa in questione, mai problematicizzata.
La frase “le bovine saranno più sicure, meno inquinanti e più performanti” è indice di una mentalità capitalistica che non può che vedere l* propr* soggett* come macchine di produzione e che finisce per inglobare gli animali in una logica di efficienza a loro estranea. La loro inferiorità è, per l’ennesima volta, naturalizzata e il nostro ruolo di carnefici mascherato nel nome del progresso. (prima parte)
Animali lavoratori e benessere animale… no, ma che bello, ma come sono carini questi umani che si preoccupano di creare un sindacato per quegli Animali che vorrebbero vivere liberi e che invece si ritrovano sfruttati?
No, ma che bello, ma come sono premurosi questi umani che si preoccupano del benessere animale? Loro si che gli devono volere bene a questi animali, specialmente nel momento prima di sgozzarli.
Oh, ma guarda, il veterinario si preoccupa anche se c’è un eccesso di mortalità, gli fa pure le analisi del sangue. Non vorremo mica che questi bovini muoiano di morte naturale? Meglio morire al macello!
No, vabbè… hanno pure la digitalizzazione che controlla il sovraffollamento nelle stalle. TOP! Effettivamente nelle stalle degli allevamenti bisogna star comodi comodi, è il viaggio al mattatoio che invece si può far tranquillamente impilati uno sopra l’altro per giorni e giorni con il freddo e con il gelo o con 40° senza un minimo d’acqua.
Sono talmente tanto avanti che le stalle ad alta tecnologia permetteranno addirittura di accertarsi che le bovine siano “più sicure, meno inquinanti e più performanti”: cioè Lamborghini e Ferrari spostatevi proprio e magari prendete spunto.
Poi questi allevatori sono così premurosi che ascoltando le loro mucche hanno capito che hanno preferenze etniche, cioè, secondo il dottor Bissolati le mucche sarebbero un po’ razziste, a loro non piace essere munte dagli indiani. Li reputano poco attenti. Non sarà mica che è il datore di lavoro che se ne frega di fare una “giusta” formazione allo sfruttamento bovino?
E allora mettiamo un bel robot a tirare e a strapazzare quelle mammelle piene di latte, vedrai la mucca come è contenta!
Ci chiediamo sommessamente se non sarebbe più contenta a non essere proprio munta, ma potremmo anche sbagliare eh…
Effettivamente qual è quella femmina che non vuole essere rinchiusa in una stalla, allontanata da suo figlio e essere attaccata ad una macchina succhia latte?
Ci chiediamo, sempre sommessamente, ma non sarà mica che questo robot così carino e coccoloso più che alle mucche serva all’uomo che finalmente può dissociarsi completamente dal male che fa?
Prima si mettono i mattatoi lontano dalle orecchie della gente, poi si creano pubblicità ad hoc dove tutti gli animali non vedono l’ora di essere smembrati per finire in tavola, poi si robotizza tutto il processo di sfruttamento, et voilà, la coscienza è smacchiata. E c’è una bella differenza tra smacchiata e pulita.
Insomma via, sono proprio bravi questi umani che si preoccupano di dare un sindacato agli animali lavoratori e hanno a cuore il benessere animale, proprio tanto carini… sì, ma a noi ci sale un rigurgito di bile! (seconda parte)
Apprendiamo dal sito di AgriFoodToday la “brillante” idea di istituire un Sindacato per Animali Lavoratori che servirebbe, a detta delle menti geniali che vogliono metterlo in piedi, una maggiore tutela del bestiame per migliorarne condizioni e prestazioni intensificando tecnologia, controlli e formazione ottenendo così una nuova dimensione di allevamento definito “distensivo”.
Sentiamo già le ovazioni di orde di consumatori che pagherebbero volentieri un sovrapprezzo per pulirsi la coscienza e vantarsi tra amici e parenti di essere persone responsabili a cui sta a cuore il sistema di produzione di caseifici virtuosi che a loro volta accordano una sorta di carta dei diritti alle lavoratrici non umane costrette forzatamente a vivere (e morire) sul posto di lavoro come tra l’altro avviene già pure per categorie umane che, sotto ricatto del licenziamento e di una vita di stenti, devono affannarsi a produrre merce che servirà per i falsi-bisogni degli occidentali. Tuttavia la peculiarità specie specifica delle lavoratrici non-umane è che per produrre formaggi stagionati o spalmabili, mozzarelle e ricotte, latte e altri derivati devono secernere latte, e quando si parla di questo fluido biancastro (o “proteina femminizzata” come lo chiamerebbe Carol J. Adams, cioè derivata dall’abuso del sistema riproduttivo delle femmine di Animali non-umani) si tende sempre ad occultare il naturale destinatario: il vitello.
Per produrre latte – lo scriviamo per le tante persone sprovvedute che ancora nel 2022 sono convinte che la mucca ne sia fonte e sorgente ad infinitum – occorre che la lavoratrice venga ingravidata, e di solito a pensarci è il suo datore di lavoro che le infila una cannula o mezzo braccio, se questo pensa di essere in confidenza, su per la vulva fino alla cervice. Subito dopo il parto la madre lavoratrice verrà separata dalla prole per evitare che quest’ultima possa appropriarsi del liquido finalizzato all’uso umano. Ripetere il processo fino a quando la povera lavoratrice non-umana stramazzerà al suolo.
Ecco, dove saranno i sindacati che faranno valere il diritto del nascituro a stare con la madre lavoratrice fino allo svezzamento e oltre?
Dove saranno i sindacati che tuteleranno l’integrità fisica del vitello che invece finirà i suoi giorni in un mattatoio senza avere la possibilità di diventare adulto?
Dove saranno i sindacati una volta che la lavoratrice avrà esaurito forze e latte e verrà mandata al macello perché ormai improduttiva?
L’occultamento del vitello è una strategia subdolamente crudele che gioca appunto sulla rimozione del referente assente poiché, parafrasando vagamente Epicuro: se c’è il vitello non c’è il latte e se c’è il latte non c’è il vitello. Dunque o l’uno o l’altro, i due insieme non possono esistere nello stesso posto poiché il primo sarebbe causa di sottrazione di profitto di allevatori e produttori. Allora meglio far sparire dai radar il referente assente così chi acquista il prodotto finale non avrà modo di farsi le opportune domande volte a smascherare questo brutale sistema di sfruttamento.
Alla fine speriamo si sia capito che questo escamotage non avrà nessuna valenza per le lavoratrici non umane alle quali verrà apposto soltanto l’ennesimo bollino di “benessere animale” che in realtà servirà a incrementare i profitti di un settore, quello zootecnico, capace di sfruttare corpi umani (ancora per poco, dato che si stanno ingegnando con la tecnologia che sostituirà “l’umano cattivo” con un più efficace e sensibile androide), corpi di lavoratrici di Altra specie e la Natura attraverso l’acquisizione di spazi di produzione a discapito di biodiversità e ambiente (la catastrofe climatica e dietro l’angolo e non serviranno tutti i sindacati per umani e Altre specie per scongiurarla).
Insomma chi ci guadagna in questa storia non sono sicuramente le lavoratrici non-umane sfruttate fino all’ultima goccia ma il solito sistema antropocentrico e specista che ha trovato un ingegnoso modo per reinventarsi a discapito di categorie messe ai margini, rese invisibili attraverso il disconoscimento del proprio corpo e della propria identità di individui potenzialmente capaci di autodeterminarsi poiché a rappresentarle ci saranno questi famigerati Sindacati per animali lavoratori sfruttati.
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