Crediamo che tantissime persone vegan, sicuramente la maggioranza (e noi siamo tra queste), abbiano cambiato il proprio sguardo sulla questione animale dopo aver visto un documentario o un servizio tv in cui venivano mostrate investigazioni all’interno dei luoghi di sfruttamento e morte, assistito a scene di violenza inaudita ai danni di chi ha come unica colpa quella di essere nato individuo di altra specie.
Quelle immagini dovrebbero aprire ad una nuova consapevolezza quanti osservano tali pratiche dallo spazio sicuro delle proprie comfort zone ma nonostante il bombardamento mediatico in tutti gli spazi possibili – tv, social, azioni di sensibilizzazione in strada – sembra però che tali visioni suscitino nella maggior parte delle persone una istantanea indignazione che lascia poi il posto all’indifferenza, ad un’anestetizzazione dei sentimenti e, non ultimo, al pensiero subconscio di non voler perdere quel privilegio di specie che consente di perpetuare forme di oppressione socialmente accettate per beneficiare di prodotti, merci, servizi, e forza lavoro proveniente dagli altri animali.
Forse è brutale affermare che ormai c’è una sorta di assuefazione del dolore, di disconoscimento della violenza su chi è altro da “noi”, di una soglia di tolleranza altissima alla visione di torture e morte tali da rendere impassibile chi le guarda, basti pensare all’orrore dei vari conflitti armati trasmessi ovunque: Le guerre esistono da sempre e vengono documentate con foto e scene raccapriccianti eppure non si è ancora arrivati a gettare le basi di una società nonviolenta (questo forse la dice lunga sull’utilità di una metodologia visiva impostata in modalità “violenza” per scuotere le coscienze degli individui).
Se non riusciamo a debellare in sistema antropocentrico che ci opprime provocando sofferenza e morte come possiamo pensare di riuscirci per la liberazione Animale? E allora dopo decenni di approcci che mettono sotto i riflettori le varie forme di sofferenza animale forse è arrivato il momento di adottare nuove strategie che raccontino non la morte ma la VITA dei non-umani.
Generare riflessioni e connessioni attraverso la vista di un maiale che resiste e lotta per la libertà o la vita di individui non-umani situati all’interno di Rifugi, liberi di autodeterminarsi, di giocare e interagire con animali umani e di altra specie piuttosto che continuare ad inondare pagine, profili e monitor in cui vengono mostrati sofferenti, sporchi, umiliati e infine uccisi.
Immaginiamo sia un cambio di paradigma dell’attivismo difficile da digerire, soprattutto da parte di chi fa leva proprio sulla “pornografia della dolore” per cercare di convincere le persone a smettere di essere parte del meccanismo di oppressione specista.
Forse non siamo ancora pront* a lasciarci alle spalle questo tipo di forma mentis per l’attivismo e la divulgazione di l’informazioni sulla questione animale, bisognerà tuttavia iniziare a fare i conti con un approccio differente, inizialmente complementare: un approccio che a prima vista potrà sembrare accondiscendente verso la società specista ma che in realtà vuole testimoniare lati della questione animale (libertà e resistenza) lasciati all’ombra perché sottovalutati e ritenuti meno impattanti rispetto al maiale appeso ad un gancio o ad un pulcino che sta per essere tritato vivo.
Se la società antropocentrica e specista ha smesso di scuotere la propria coscienza attraverso la sofferenza altrui che sia arrivato il momento di documentare la via della nonviolenza attraverso le storie degli animali non-umani disobbedienti, che fanno resistenza e che sono riusciti in qualche modo a conquistarsi la libertà?
Artwork: Roger Olmos
#A4 #a4animali #antispecismo #specismo #violenza #animali #liberazioneanimale #liberazionetotale #vegan #rogerolmos
