MA(ia)LA TEMPORA CURRUNT

Nella retorica antropocentrica in chiave specista la vita degli altri animali vale quanto una qualsiasi merce barattabile con il denaro, salvo poi fare appello tramite una narrazione sentimentalista, per non dire pietista, quando quegli animali/oggetto rischiano di morire in modo diverso da quello pianificato.


A quel punto scatta la solidarietà, la mobilitazione generale, ma a quale prezzo?
Per un individuo non umano che differenza fa tra morire annegato o essere salvato ora e macellato a breve?

No ci spiace, per qualcunə questo post potrà risultare offensivo o inopportuno ma davanti all’ennesima notizia di allevatori e addetti vari del settore zootecnico in lacrime per la (possibile) perdita dei “loro capi”, a causa delle esondazioni dei fiumi che in queste ore drammatiche stanno devastando l’Emilia Romagna, ci siamo sentitə in dovere di prendere posizione e fare una feroce riflessione.
Saremo lucidamente sincerə nella formulazione di un concetto poco “mainstream” dopo aver letto la notizia di un imprenditore romagnolo, che detiene in stato di prigionia ben 3000 maiali (alcune femmine bloccate in gabbie di gestazione), il quale chiede aiuto per spostare “almeno i piccoli e cercare di salvarli” (link in basso): 

No “caro” imprenditore, a te non interessa salvare la vita di quegli individui ma mettere al sicuro la merce per il tuo futuro profitto. Fare leva sui cuccioli giocando la meschina carta del sentimentalismo e della “bontà di cuore” può funzionare soltanto agli occhi di chi culturalmente applica in modo inconscio e istantaneo una schermatura specista, un finto interesse per quelle vite che, qualora riuscissero ad essere “salvate”, finiranno macellate nel giro di qualche mese.
Ti interessa realmente “salvare” quelle vite?
Bene,  sappi però che l’unico “salvataggio” accettabile, e realmente sensato per i non-umani di cui dici di preoccuparti, è quello senza scopo di profitto o beneficio.

Per far sì che nella visione antropocentrica la dicotomia animale/oggetto funzioni bisogna ad un certo punto che quella esistenza scompaia dallo sguardo di chi consuma, costruendo se possibile una retorica romanzata sulle tradizioni da portare avanti pena l’imbastardimento dell’etnia italiana, creando contemporaneamente un apparato economico che deresponsabilizzi chiunque ne faccia parte dando vita ad un’atroce immobilismo che porta a perpetuare l’oppressione verso tutte le altre specie senza metterla mai in discussione.
Riteniamo fastidiosa questa retorica del “salvataggio” degli animali/merce sui quali comunque è già incisa una “data di scadenza” ancor prima di essere nati, che arriverà da qui a qualche mese. Ad una morte programmata attraverso smembramento e impacchettamento non vediamo alcuna differenza rispetto ad una morte causata in modo “accidentale”.
Una morte che tutto è tranne che accidentale poiché questo disastro climatico  è causato in larga parte da quel Capitalocene che, in quanto mostruosità antropogenica, si ingozza sguaiatamente anche grazie alla produzione del settore zootecnico.

Gli individui di cui viene implorato il “salvataggio” saranno salvati in quanto altrimenti diventerebbero un danno economico per l’allevatore. La loro salvabilità è strettamente legata al profitto che genereranno, al fatto di essere visti come carne da consumare, non come esistenze senzienti. Ed è evidente che in questa scala gerarchica di sfruttamento, qualche gradino sopra gli animali/merce in una spirale di oppressioni concatenate, troviamo quella forza lavoro umana che a sua volta è disperata per la propria sopravvivenza. 

Dopo aver letto questo “straziante appello” ci chiediamo: ma se il “danno economico”, in termini di vite non umane, dovesse diventare rilevante per l’allevatore questo è disposto a rivalutare, o riconvertire, la propria attività basata sullo sfruttamento e messa a morte di altri corpi?

E ci domandiamo anche se, più in generale, non sia opportuno entrare in un’ottica in cui il governo investa per permettere a questi soggetti di trovare nuovi sbocchi lavorativi e di slegare i corpi di altri animali al solo status giuridico di profitto che respira.
In questo modo si uscirebbe anche dalla solita retorica greenwashing e di finta transizione ecologica che in realtà andrebbe chiamata “transizione economica” il cui solo scopo è trovare nuovo capitale da estrarre.

Purtroppo invece sappiamo bene che la prossima mossa dei vari Prandini, Lollobrigida e Bonaccini sarà quella di mettere al sicuro il profitto dell’eccellenza “made in Italy”, stanziando fondi con i soldi dei contribuenti, fino al prossimo disastro causato anche da quella stessa industria d’eccellenza che oggi, in Emilia Romagna, si dispera per la morte della propria merce.

Link notizia:  https://bit.ly/appello-allevatore-salvateli

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