L’ANIMALE CHE DUNQUE SIAMO E CHE DISCRIMINIAMO

Abbiamo scritto il seguente testo che è stato letto prima alla Manifestazione di Viareggio e successivamente, con qualche rimaneggiamento, a quella di Firenze organizzata il 12 Febbraio da A4 assieme a vari rifugi (Alma Libre, Ippoasi, Ohana Rescue Family, Miletta, Capra Libera Tutti, Chico Mendes, Riserva Sparta) e associazioni (Mantova4Animals) e la redazione di Restiamo Animali.

Le riflessioni nate in seno a questo testo nascono da un fatto di sangue avvenuto lo scorso dicembre in provincia di Lucca: tutte noi ricordiamo ancora quel giovane cinghiale ferito dopo un incidente stradale che, dopo essere stato recuperato dal fosso in cui era finito e dal quale non riusciva ad uscire autonomamente, si è poi ritrovato in una situazione ben peggiore: freddato con quattro colpi di fucile. Una giustizia sommaria attuata con metodica freddezza nonostante la proposta di una soluzione non cruenta che dovrebbe essere presa in considerazione sempre e prima di ogni altra alternativa. Purtroppo invece ogni volta che un selvatico, dai contesti naturali in cui è stato relegato, varca i confini urbani o antropizzati deve fare i conti con leggi umane, scritte ad personam, che si traducono con l’uccisione a suon di fucilate. Così anche nel caso di questo cinghiale ferito arriva una decisione presa con spaventosa leggerezza: condanna a morte senza possibilità di appello. Ci sono voluti ben quattro brutali colpi per porre fine alla vita di un piccolo corpo inerme la cui unica colpa è stata quella di appartenere alla macro categoria degli Altri Animali, nello specifico dei selvatici e di quei tanto demonizzati cinghiali, terrore e nemico numero uno di agricoltori e cacciatori. Un nemico creato ad hoc da queste due categorie, che si spalleggiano vicendevolmente creando IL PROBLEMA per tornaconto personale, perché basterebbe guardare e avere voglia di leggere i dati con occhio onesto per capire quanto la caccia non risolva nessuna presunta emergenza ma anzi la alimenti, la tiene in vita, e ne trae profitto… ma questa è un’altra storia.

Il dettaglio che più ci ha sconvolte è stato il comportamento impassibile e indifferente di chi in quel momento doveva eseguire materialmente la condanna a morte il quale, davanti al disperato appello di Barbara, ha affermato: “È SOLO UN ANIMALE”. Questa frase ce la sentiamo ripetere continuamente ogni volta che portiamo l’attenzione sul rapporto tra l’umano e le altre specie viventi. 

“È solo un animale” ci ricorda che viviamo in una società dove le gerarchie di potere stabiliscono in che modo tu possa essere discriminat* e di che morte morire.
Ma cosa vuol dire “Animale” se animali lo siamo prima di tutto noi umane?

  • Animale” è utilizzato come metro di paragone per definire quanto di più lontano esista dall’Umano;
  • “Animale” si diventa ogni volta che qualcuno attua una situazione di inferiorità da cui trarre profitto o beneficio;
  • “Animale” lo diventa la donna da molestare o stuprare (“sei una zoccola. Sei una cagna”); il lavoratore da sfruttare (“Sei una bestia da soma”), il migrante che valica i confini (“Sei una scimmia. Sei un parassita”) o quelle popolazioni indigene da sterminare a beneficio del progresso capitalista (“Sei un selvaggio”. “Sei un Animale”, appunto)
  • “Animale” è un concetto creato per sfruttare i corpi, ma soprattutto “Animale” è una categoria di soggetti di altra specie che possono subire qualsiasi tipo di violenza soltanto perché non appartengo alla società umana.

Grazie a questa forma mentis si cresce e ci si abitua ad essere convinti che ogni l’individuo diverso dall’umano (e per umano s’intende generalmente l’uomo bianco occidentale) risulti meno importante e sacrificabile per il bene di una collettività che ormai ha perso ogni rapporto sociale e culturale con il resto del mondo “Altro” e il contatto con la propria animalità. 
E allora “sono solo migranti”, “era solo una puttana”, “sono solo animali”, “era solo una persona trans” ci mostrano una verità che non si tenta nemmeno di nascondere. Una diversità che diventa ostacolo per gli interessi di una società anestetizzata e poco inclusiva che degli individui oppressi non sa che farsene, anzi lo sa bene: vanno semplicemente squalificati, messi ai margini, invisibilizzati e, laddove sia possibile, fisicamente eliminati.

Nel caso dei selvatici, poi, questi possono vivere liberi soltanto nella misura in cui non valicano i confini stabiliti dagli umani attraversati i quali viene emessa una dichiarazione di guerra senza soluzione di salvezza.
Questa guerra contro i selvatici, e più in generale contro tutti gli Altri Animali, è servita in passato e serve tuttora anche per affinare tecniche di controllo sociale in contesti umani, è stata creata una discriminazione fluida che di volta in volta sottrae se ricadi nella categoria sbagliata o al gruppo diventato minoritario e problematico. Ma soprattutto alle persone umane e non-umane sacrificabili alla causa, che stranamente fa sempre rima con “profitto”. 

C’è da evidenziare però che la categoria Animale resta in ogni caso presa a modello negativo, una nemesi da cui partire per valutare il modo in cui puoi stare al mondo. 
È per questo che dobbiamo rivedere il nostro rapporto con tutti i viventi; dobbiamo smontare pezzo per pezzo l’idea di un’umanità che si erge a divinità; dobbiamo ricostruire una giustizia sociale che tenga conto di ogni individuo vivente per non ritrovarci ogni volta ad assistere a scene di inaudita violenza da parte di chi utilizza il solito vergognoso pretesto:
“È-SOLTANTO-UN-ANIMALE”.

Qua sotto i cartelli realizzati ed esposti durante la manifestazione di Firenze.