In questi giorni è uscito Food For Profit, il documentario realizzato da Giulia Innocenzi
che denuncia gli intrecci tra la politica, i Signori della Carne e le varie lobby che si spartiscono un giro d’affari miliardario per il controllo del comparto zootecnico.
Probabilmente un lavoro investigativo e documentaristico interessante, tuttavia noi ci siamo soffermatə sull’aspetto estetico perché non riusciamo a comprende la scelta di rappresentare graficamente chi fa profitto sugli altri animali utilizzando proprio uno dei più maltrattati anche in questo campo: il maiale.
Inizialmente credevamo ad un riferimento a quella fattoria Orwelliana i cui maiali acquisivano potere e lo utilizzavano nello stesso modo autoritario umano.
Giacché questa raffigurazione non ci sembrava aderente al contenuto del documentario ci siamo abbandonatə all’ipotesi più ovvia (e specista):
I capitalisti vengono spesso associati ai maiali e tanto bastava per utilizzare quell’immaginario per dire che quegli animali generano sporco profitto. Niente di più, niente di meno.
E allora ecco una sintetica riflessione sull’utilizzo iconografico e sulla rappresentazione discriminatoria, ormai ben radicata nell’immaginario comune, che si fa dei maiali, e del perché
anche noi dovremmo smettere di utilizzare.
NB: Sottolineiamo, per chi ama la polemica sterile, che la critica non è al documentario in sé quanto alla scelta estetica della locandina equivocabile. Per capirlo basterà fare quel minimo sforzo per leggere tutte le schede.
Nell’ambito della satira politica e dell’attivismo, e ci infiliamo dentro pure quello intersezionale, si trovano spesso rappresentazioni animali usate come mazza per colpire duro e far capire subito chi sono i “cattivi”.
Ma cosa cela veramente questa pratica?
E perché dovremmo avanzare una critica nei confronti di questa forma di rappresentazione?
Negli ultimi due secoli, il maiale è stato l’emblema preferito per dipingere la figura malevola dei capitalisti e quella disprezzata dei poliziotti. Giusto qualche esempio:
- Nel 1843, il giornalista britannico William Cobbett pubblicò un pamphlet intitolato “The Poor Man’s Pig” in cui utilizzava l’immagine di un maiale per satirizzare la ricchezza e l’avidità dei capitalisti.
- Nel 1906, l’illustratore americano Art Young pubblicò una serie di vignette satiriche intitolate “The Pig War,” in cui criticava la corruzione e la brutalità della polizia di New York.
È importante riconoscere che l’uso di simboli animali per descrivere caratteristiche umane, anche quando si tratta di gruppi specifici e detestati come capitalisti o poliziotti, è intriso di una lunga storia di discriminazione e stereotipi verso gli altri animali. Il maiale, in particolare, è stato spesso associato a concetti negativi come avidità, corruzione e sporcizia. Questi stereotipi hanno radici profonde nella cultura occidentale e sono stati utilizzati nel corso dei secoli per disumanizzare e denigrare gruppi di persone ritenute “inferiori”. La pratica di animalizzare per discriminare sopravvive tutt’oggi, in modo bipartisan e trasversale quando parliamo di gruppi e persone politicizzate: che siano di destra o di sinistra il maiale, e non solo lui, è il ritratto dell’immoralità.
Come si è detto, l’uso di simbologia animale per raffigurare persone può essere intrinsecamente discriminatorio. Associare un gruppo di individui a un animale specifico suggerisce che essi condividano peculiarità negative che la società umana attribuisce a quell’animale, alimentando così pregiudizi e discriminazioni. Ma soprattutto questa visione negativa continua ad assegnare agli altri animali caratteristiche e rappresentazioni che non rispecchiano la complessità e la dignità delle loro vite. Così facendo, non solo si perpetua una visione distorta del mondo animale, ma si rinforza anche il concetto erroneo di superiorità umana, contribuendo a una mentalità dominatrice che giustifica lo sfruttamento degli animali non-umani. Inoltre, è importante considerare il contesto in cui viene utilizzata questa raffigurazione. Sebbene la satira politica abbia un ruolo importante nel mettere in discussione il potere e la gerarchia, questa però non dovrebbe costare la dignità di una categoria già oppressa come gli animali che poi ne subisce le conseguenze. Utilizzare una rappresentazione simbolica animale per descrivere la personificazione del profitto, come nel caso della locandina del documentario in oggetto, diventa controproducente per chi, pur volendo essere dalla parte degli abusati denunciandone lo sfruttamento all’interno del comparto zootecnico, crea allo stesso tempo un equivoco specista.
In conclusione, è cosa buona e giusta attaccare aspramente attraverso una satira tagliente il capitalismo, gli organismi definiti di “pubblica sicurezza” quando diventano il braccio violento dello Stato, e qualsiasi altro potere che schiaccia e opprime categorie ai margini. Ma evitiamo di farlo gettando fango su maiali e tutti gli altri animali.
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