In una società che ci vuole tutte performanti, molto spesso ricattabili, in costante competizione e funzionali al profitto di qualcun altro, gli Animali di altra specie rientrano in quella categoria lavorativa a pagare lo scotto più alto per svariati motivi: il più evidente è quello dello svolgimento di un lavoro che non hanno richiesto di fare e che viene svolto unicamente per essere utile al datore di lavoro umano.
Non meno importante è la selezione di “razze”, incroci, selezioni genetiche volte a creare individui sempre più lontani da ciò che erano in origine e sempre più migliorabili nell’ambito di prestazioni lavorative a cui vengono sottoposti. In più c’è l’aggravante costituita dagli allevamenti a scopo riproduttivo dove i corpi delle femmine vengono spinti ad estenuanti e ripetute gravidanze che si interrompono a causa del malfunzionamento della “macchina animale” non più in grado di essere produttiva e quindi da sostituire previa rottamazione (vedi alla voce “morte”). La facciata edulcorata e bucolica degli Animali utilizzati sempre solo ed esclusivamente a scopi umani induce la quasi totalità della società umana, e dentro ci finiscono anche tante persone vegan, a dipingere questi individui come eroi quando salvano persone disperse durante le ricerche, oppure diventano angeli protettori di umani bisognosi di cure attraverso la “pet therapy”, o ancora disegnate come creature fedeli che si immolano per stanare il narcotrafficante o altre figure delinqueziali che riconoscono tramite un addestramento stancante fisicamente e psicologicamente.
Noi però vorremmo soffermarci su un aspetto scomodo e spinoso su cui la società umana dovrebbe riconsiderare e che ci trova in totale disaccordo ovvero l’utilizzo non consensuale, forzato, e rischioso di soggetti non-umani al servizio di lavori che possono essere tranquillamente sostituiti da apparecchiature tecniche e tecnologiche ma, fosse pure che non disponessimo di tali conoscenze, dovremmo sempre porci quella domanda che dovrebbe smuovere un’etica non compromessa dal profitto o dal proprio privilegio di specie: abbiamo noi il diritto di sacrificare un’altra vita per un beneficio di tipo umano?
La risposta dovrebbe essere sempre “NO”, peccato però che poi prevalga quasi sempre quell’egoismo utilitaristico che ci fa vedere le cose sotto una lente deformante e ci fa decidere che sì il cane può e deve immolarsi fino a morire (non succede spesso, ma più di quello che si pensi) pur di salvare il maggior numero di persone o che debba passare la propria vita a fare da infermiere di fianco a persone con disabilità o bisognose di un certo tipo di terapia.
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